Se c'è una cosa che non passa mai di moda a Milano, che ritrovi ad ogni stagione, ogni anno, oserei dire in qualunque ora della giornata e della notte è il
clacson.
I milanesi hanno un rapporto morboso con questo strumento, ne sono affascinati, il suono che proviene è per loro come il canto della sirene di Ulisse.
Non c'è ora, non c'è momento in cui, qui a Milano, non lo senti.
Strombazzano alla vecchietta di 90 anni rea di non aver finito l'attraversamento delle strisce pedonali con il suo bastone nel medesimo istante in cui il semaforo diventa verde, suonano alla mamma presa dal panico che trascina rovinosamente il suo piccolino di 2 anni sull'asfalto per fare posto alle auto e suonano anche all'una di notte quando sei al semaforo con il tuo fidanzato che non parte all'istante e che siccome è notte, si è usciti, si è passato del tempo con gli amici va più piano: a 59 Km all'ora invece che ai 60 d'ordinanza. Loro devono correre, tornare a casa a produrre sogni perchè senza i sogni dei milanesi il PIL del mondo onirico potrebbe entrare in default. (La Merkel ringrazia anche per questo).
Al mio paese, invece, si usa il clacson ai matrimoni mentre festanti invitati accompagnano gli sposi al ricevimento, lo si usa per salutare l'amico che, cavolo!, non ti ha visto a cui devi per forza dire ciao, lo usi persino come segnale per dire allo stesso amico, che si trova a casa, che sei giù al portone ad aspettarlo.
Insomma paese che vai, usanza che trovi!